Salute e povertà in Italia

La povertà in Italia

L’Istat stima che nel 2014 in Italia 17 milioni e 205 mila persone sono state a rischio di povertà o di esclusione sociale. Gli individui che a quella data versavano in una condizione di povertà assoluta erano 4 milioni e 102 mila; di questi, 1 milione e 470 mila costituiscono famiglie. Questi dati, dopo due anni di preoccupanti aumenti, si stanno stabilizzando.

  Italia Nord Italia
Rischio di povertà o esclusione sociale 28,30% 16,40%
Povertà assoluta 6,80% 5,70%
Povertà relativa 12,90% 6,80%
Disoccupazione 12,70% 8,30%

Con il termine povertà assoluta si intende una condizione di disagio economico tale da impedire il soddisfacimento dei bisogni essenziali per una persona, rilevata dalla incapacità di acquistare un paniere minimo di beni e servizi necessari per la sua sussistenza.

Anche l’indicatore della povertà relativa si è consolidato e comprende 7 milioni e 815 mila persone, dato che al suo interno racchiude 2 milioni e 654 mila famiglie. La povertà relativa è una condizione di deficit di risorse monetarie necessarie per mantenere lo standard di vita corrente, definito in funzione del livello medio di risorse nella popolazione di riferimento.

In virtù di tali considerazioni, non deve sorprendere dunque se il tasso di disoccupazione (strettamente connesso all’indigenza e indicatore del rischio povertà o esclusione sociale) nel 2014 abbia raggiunto il 12,7% della popolazione.

I dati più “confortanti” sono relativi al Nord Italia, di cui l’Emilia-Romagna fa parte. La percentuale della povertà relativa risulta quasi dimezzata rispetto al trend nazionale (6,8% individui), più contenuta invece la differenza con la povertà assoluta (5,7%). Incoraggiante, rispetto al panorama nazionale, il dato inerente la disoccupazione, che in Emilia-Romagna si attesta all’8,3%.

Salute e povertà

Da una indagine ISTAT sulle condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari emerge che quasi una persona su due è affetta da almeno una patologia cronica in una lista di 22 disturbi che comprende: ipertensione arteriosa, malattie allergiche, artrosi (artrite) e cefalee, che
sono tra i problemi di salute più comuni e ricorrenti.

Italiani affetti da almeno una patologia cronica

Non sorprende dunque se il 7,3% della popolazione, dai 14 anni in su, dichiara di stare male o molto male. Ovviamente con il passare dell’età aumenta anche il rischio dell’insorgenza di altre patologie e si dilata anche la percentuale di coloro che esprimono un giudizio negativo sul proprio stato di salute (20,1% per gli over 65).

La malattia è ancora più difficile da affrontare quando le persone si ritrovano in situazione di povertà. Le condizioni economiche sfavorevoli, infatti, sono l’ostacolo più grande e preoccupante, soprattutto per coloro che sono costrette a ricorrere costantemente ai farmaci e non sono in grado di provvedere alle relative spese mediche. I cittadini che versano in condizioni di svantaggio sociale sono maggiormente vulnerabili e rischiano di ammalarsi più facilmente, di perdere la loro autonomia, con un elevato rischio di peggioramento del loro quadro clinico generale.

La crisi economica, la situazione occupazionale, la costante riduzione della voce di spesa sanitaria nel bilancio statale, hanno portato a un significativo incremento della richiesta di aiuto e il ricorso agli enti di volontariato. Nel Rapporto Donare per curare: Povertà sanitaria e Donazione Farmaci pubblicato nel 2015 dal Banco Farmaceutico è stato utilizzato il termine “povertà sanitaria”, che indica l’insufficienza del reddito per far fronte alle spese necessarie a curarsi. Dall’indagine emerge che il 3,9% dei cittadini italiani ha rinunciato ad acquistare farmaci necessari a causa di indigenza economica (in Emilia-Romagna la percentuale scende al 3,1%). Inoltre, se una famiglia italiana per le cure spende in media circa 94 euro al mese, una famiglia in condizione di povertà ne spende soltanto 16. Nei casi più drammatici, una parte della popolazione arriva a non curarsi, non potendo permettersi farmaci, esami o visite mediche. Il rapporto ha stilato un elenco delle principali patologie di cui sono affette le persone che chiedono aiuti farmaceutici: al primo posto sono indicate le malattie respiratorie, poi quelle cardiovascolari e gastrointestinali.

I volti della povertà sanitaria: anziani e disabili

Indice di vecchiaia

Per ogni persona le probabilità di dover affrontare problemi di salute aumentano con il passare degli anni e con il peggioramento delle condizioni economiche personali. Anziani e disabili sono tra le categorie più a rischio nel rapporto povertà-salute: le criticità aumento drasticamente quando un individuo perde la propria autosufficienza, subisce limitazioni funzionali o un’invalidità. È doveroso esplorare questi due gruppi perché nel contesto italiano hanno un ampio rilievo in termini numerici e non sono così marginali come si può erroneamente pensare.

La popolazione del nostro Paese è composta per almeno un quarto del totale da persone anziane. Infatti, il 21,4% ha più di 65 anni, il 3% sopra gli 85. Se si esamina il rapporto tra adolescenti e anziani, emerge che ogni 10 giovani di età inferiore ai 15 anni, ci sono 15 over 65. Il dato aumenta a livello regionale, dove la percentuale della popolazione con più di 65 anni è del 23,4%. Il rapporto tra giovani e anziani aumenta, arrivando a 10 su 17.

Principali difficoltà della popolazione disabile

Nel 2015 in Italia, secondo dati Istat, i disabili sono tre milioni, ovvero il 5% della popolazione e questa tendenza è concentrata soprattutto nelle isole; è interessante constatare come il 66,2% comprenda donne (1 milione e 700 mila).

L’indagine ha suddiviso la popolazione in tre grandi gruppi: persone con difficoltà di movimento, con difficoltà sensoriali e con difficoltà nelle funzioni della vita quotidiana.

I disabili abitano prevalentemente in famiglia (2 milioni e 600 mila, il 93%) e questo comporta un aumento del carico economico, poiché la condizione di povertà viene ulteriormente aggravata dalla necessità di sostenere l’assistenza dei familiari disabili. I disabili vivono anche negli istituti (190 mila): la maggior parte sono anziani non autosufficienti (158 mila); poi ci sono le persone che soffrono di disturbi psichici o sono affette da disabilità plurima (11 mila ciascuno).

Alla luce dei dati fin qui illustrati, sorgono alcuni interrogativi: le persone anziane, disabili come affrontano le difficoltà sanitarie? Le famiglie che se ne prendono cura, come gestiscono i problemi economici legati all’assistenza? Come vengono aiutate dalle Amministrazioni statali deputate?

Con la crisi economica e il peggioramento della condizioni di vita, si verifica un aumento di pensionati che vivono con le proprie famiglie, soprattutto se tra i componenti di queste ci sono anche persone disoccupate. Osservando questa tendenza da più prospettive, se da una parte può essere difficile occuparsi di un familiare ammalato o anziano bisognoso di cure, dall’altra le famiglie possono contare su forme di sostegno economico derivanti dalle pensioni e dagli aiuti previsti dal Governo, come il Fondo per la non-autosufficienza, le agevolazioni fiscali, la “Social Card” o il “Bonus Inps”. Un’altra possibilità è rappresentata dalla Legge 104/1992: questa norma permette a chi ha un invalidità certificata di ricevere un sostegno economico; può essere utilizzata dal richiedente, ma anche essere “trasferito” a un parente che si prende cura dell’invalido; inoltre, a chi lavora, spetta un permesso retribuito per consentirgli di effettuare l’assistenza. Nelle famiglie più povere, i sussidi di cui si è accennato rappresentano importanti forme di sostegno alla cura dei propri familiari, ma non possono sostituire il bisogno di reddito derivante da un’occupazione, non potendo evidentemente dedicare tempo a un’attività di lavoro. Bisogna inoltre aggiungere che molto spesso le forme di indennità pensionistica non sono sufficienti a una famiglia per coprire le altre spese come l’affitto, le utenze, la spesa alimentare; pertanto, se una persona è costretta a non lavorare per prendersi cura di un familiare e non è garantito almeno uno stipendio, diventa necessario il ricorso alla Caritas o ad altri enti assistenziali.